Il “DNA barcoding” è una metodica che consente l’identificazione delle specie attraverso l’analisidi specifiche sequenze di DNA, considerate come veri e propri marcatori molecolari (o DNA barcodes) (Hebert et al., 2003; Frézal&Leblois, 2008). La tecnica, proposta per la prima volta nel 2003 dal ricercatore canadese Paul Hebert per la classificazione degli organismi invertebrati marini,ha successivamente trovato grande applicazione pratica anche nel riconoscimento di macro-contaminanti animali rinvenuti nelle derrate alimentari, non identificabili con le classiche analisi morfologiche in quanto deteriorati dalla lavorazione e dallo stato di conservazione dell’alimento (Panini et al., 2012).
Per poter usare l’analisi del DNA occorre come primo passaggio estrarre il DNA genomico, operazione possibile anche avendo a disposizione piccoli frammenti di tessuto animale, seguita dall’amplificazionedella porzione di DNA di interesse (mediante una reazione di PCR). Il DNA amplificato (amplicone) così ottenuto viene quindi sottoposto a reazione di sequenziamento, in modo da risalire alla sua esatta composizione in basi azotate. Una volta ottenuta la sequenza di basi si procede al confronto di questa con tutte le sequenze finora depositatein banche dati disponibili online e corrispondenti alle specie finora studiate (Panini et al., 2012).
Il vantaggio del DNA barcoding è rappresentato dalla standardizzazione del metodo, che lo rende adatto a lavorare su diversi artropodi, ad esempio, semplicemente padroneggiando la tecnica senzala necessità di avere specifiche conoscenze per l’identificazione morfologica delle specie.
Obrepalska-Steplowska e colleghi (2008) hanno dimostrato come il DNA barcoding rappresenti unavalida alternativa al filth test, poiché in grado, con tecniche di routine di biologia molecolare, di rilevare la presenza di un coleottero in 1 kg di farina, distinguendo in questo caso Sitophilus granarius da specie affini come S. oryzae o S. zeamais.
Non di tutti gli artropodi sono depositate le sequenze utili di DNA nelle banche dati online, quindi un limite potrebbe essere rappresentato da questa carenza, ma va ricordato come il numero di sequenze depositate sia cresciuto negli ultimi anni in modo esponenziale, grazie anche ai vari progetti genoma sviluppati da tanti ricercatori in tutto il mondo.
Nel caso ci si trovi di fronte a una matrice presumibilmente contenente più di una specie di artropode, è possibile applicare il “metabarcoding” che permette di analizzare matrici complesse per determinarne l’intero contenuto di DNA (Deiner et al., 2017). Si tratta di un approccio recente applicato per caratterizzare la biodiversità di campioni ambientali, quali suolo e acqua, ma che può essere impiegato, con opportuni aggiustamenti, nell’analisi di matrici come ad esempio le farine, per determinare tutti i possibili contaminanti animali e/o tracce di essi presenti (Staats et al., 2016).
I passaggi fondamentali sono gli stessi del DNA barcoding ma in questo caso i frammenti di DNA possono essere numerosi, pertanto è necessario utilizzare diverse metodiche di sequenziamento (le cosiddette NGS – next generation sequencing).
Anche presso i laboratori del DIPROVES di Piacenza si stanno eseguendo ricerche in tal senso.
Naturalmente, almeno in tempi brevi, l’identificazione degli artropodi tramite l’analisi del DNA non soppianterà del tutto la classica identificazione basata su caratteri morfologici osservabili al microscopio, ma può essere in alcune circostanze un valido complemento e in alcuni casi anche una valida alternativa.