Il coronavirus responsabile della grave sindrome simil-influenzale e soprattutto respiratoria che in queste settimane preoccupa notevolmente tutti è un virus nuovo per la scienza medica e pertanto le informazioni che si hanno a disposizione su di esso sono per forza di cose limitate.
Naturalmente non sono poche le domande che la gente si pone e una di queste riguarda il tempo di permanenza del virus sulle superfici; tutti ci chiediamo per quanto tempo una superficie toccata con le mani o raggiunta dalle goccioline microscopiche emesse col respiro o con la voce o da quelle macroscopiche di uno starnuto o di un colpo di tosse non prontamente ‘tamponato’ con un fazzoletto o una manica da una persona infetta, mantiene una carica virale tale da essere in grado di infettare un’altra persona.
Fino a qualche giorno fa gli studiosi potevano rispondere facendo paragoni con virus simili al SARS-CoV-2. Un nutrito gruppo di ricercatori statunitensi ha inviato una lettera al “The New England Journal of Medicine” dove ha esposto i risultati delle loro prove in laboratorio, prove effettuate utilizzando proprio il coronavirus SARS-CoV-2. Tale lettera è stata pubblicata il 17 marzo 2020.
In pratica i ricercatori hanno preso una quantità nota di virus, riprodotto in laboratorio, e l’hanno depositata su quattro tipi di superfici: rame, cartone, acciaio inox e plastica, materiali che si possono trovare sia nelle case che negli ospedali, come si legge nell’articolo.
Le prove sono state effettuate a 21-23 °C costanti e al 40 % di umidità. I risultati ottenuti, seppur da ritenersi preliminari, aggiungono un tassello al quadro di conoscenze che si stanno producendo in tutto il mondo su questo virus.
Su una superficie di rame dopo 4 ore non ci sono più virus, e la capacità infettiva si dimezza già dopo le 2 ore. Sul cartone, invece, il virus non si riscontra più dopo 24 ore e si dimezza la sua capacità infettiva dopo 5 ore. Sull’acciaio invece la presenza del virus non si riscontra più dopo 48 ore e sulla plastica dopo 72. Il tempo di dimezzamento per questi due materiali è rispettivamente di 6 e 7 ore.
Questi risultati ridimensionano quanto è stato riferito poco tempo fa dalla stampa e da altri mezzi di comunicazione che hanno parlato genericamente di una possibile sopravvivenza del coronavirus sulle superfici fino a 9 giorni, con relativi rischi correlati. Una cifra che pare eccessiva anche in base a quello che sappiamo a questo riguardo sui virus, ospiti endocellulari obbligati che nel caso del coronavirus e dei virus respiratori affini hanno come via d’ingresso nel nostro organismo il naso, la bocca e gli occhi, e che si trasmettono per contatto interpersonale o stretta vicinanza, tramite le microscopiche goccioline suddette, che facilmente possono essere inalate. Nelle stesse, depositate su una superficie, la vitalità delle cellule presenti e quindi degli eventuali virus in esse localizzati è verosimile che sia molto più limitata, dell’ordine per l’appunto di qualche ora al massimo.
A questo proposito sembra importante ribadire l’importanza del mantenimento di una distanza di sicurezza di almeno un metro e mezzo o due metri tra persone, senza tacere che in ambiente aperto in presenza di vento è intuitivo che la distanza necessaria possa essere anche maggiore.
https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMc2004973?query=featured_home