L’uomo ha sempre tratto ispirazione osservando la natura cercando di imitare le soluzioni che essa ha adottato nel corso dell’evoluzione. Un esempio di questo tipo di approccio è Leonardo Da Vinci, considerato da tutti un genio. Può sembrare semplice, tuttavia bastano un paio di considerazioni per cambiare immediatamente idea.
Nel 1960 viene coniato il vocabolo “biomimetics” dal fisico Otto Schmitt, tradotto in italiano con il termine biomimesi.
Secondo Harkness (2004) l’invenzione di questo termine “ha favorito l’affermazione di un nuovo approccio alla Scienza e all’Ingegneria”. E qui ci addentriamo in due ambiti per niente semplici.
Nel 1974 il termine “biomimetic” viene riportato nel dizionario di lingua inglese Merriam-Webster e ne è data la seguente definizione: “lo studio della formazione della struttura o della funzione di sostanze e materiali biologicamente prodotti (come gli enzimi o la seta) ed i meccanismi e processi biologici (come la sintesi di proteine o la fotosintesi) soprattutto per lo scopo di sintesi di prodotti simili tramite meccanismi artificiali che simulano quelli naturali”.
Ancora qualche precisazione che è importante fare: la distinzione tra biotecnologia e biomimesi. La biotecnologia lavora con contenuti di micro- e macrobiologia, di biochimica e gli organismi sono coinvolti in maniera diretta per la produzione di sostanze utili al genere umano oppure per la degradazione di sostanze dannose. La biomimesi, invece, ricorre agli organismi viventi come generatori di idee per applicare tecniche innovative senza coinvolgerli direttamente nell’ottenimento di prodotti biomimetici (Salvia et al., 2009).
Siamo in un ambito, comunque, molto complesso e la distinzione sopra riportata non sempre è così netta. Ad esempio, per avvicinarci al mondo degli insetti, se consideriamo la produzione della seta effettuata da un ragno per la sua ragnatela, possiamo intenderla come biotecnologia quando si effettuano tentativi di riprodurre la seta utilizzando batteri, mentre possiamo intenderla come biomimesi quando si tenta di riprodurne gli strumenti di filatura (Salvia et al., 2009).
La biomimesi ha avuto successo, e tuttora è in forte sviluppo, a partire dagli anni ’80, quando sono nati centri di ricerca, network nazionali e internazionali, e la materia ha cominciato ad essere insegnata all’università. Sono nate anche riviste specializzate come “Bioinspiration & Biomimetics”.
I processi/prodotti della natura sono funzionali in natura: quando si cerca di copiarli, per trasferirli su scala industriale e renderli funzionali all’uomo, è necessario spesso modificare i materiali e sono necessari salti di scala che non sempre sono possibili, efficienti o sostenibili. Quindi, non sempre il processo di biomimesi produce materiali o processi che poi vengono effettivamente immessi sul mercato.
Ma qual è l’apporto degli insetti in campo biomimetico? Gli esempi sono sempre più numerosi e spaziano dall’architettura alla meccanica passando per l’informatica.
Ad esempio, i coleotteri bombardieri (Carabidi come i Brachinus) hanno ispirato il gruppo di ricerca del prof. McInthos dell’Università di Leeds (UK) che ha messo a punto il sistema µMist, per spruzzare liquidi senza l’uso di propellenti.
La struttura a nido d’ape, che sia un favo di ape mellifera o un nido di vespe, ha ispirato, forse fin da prima che nascesse la biomimesi, tante strutture grazie alla sua eccellente stabilità dovuta agli angoli di 120°. Una famosa azienda francese, produttrice di strumenti audio, ha studiato, ormai quarant’anni fa, un tipo di casse acustiche rivoluzionarie ispirandosi proprio alla struttura a nido d’ape.
Questi sono solo due esempi. Il numero di applicazioni è vasto e sarebbero necessari numerosi approfondimenti per esemplificare e spiegare i dettagli di tutte le invenzioni generate dal processo di biomimesi.